Succede a tutti di prendere uno zero prima o poi, anche se normalmente arriva durante i tempi della scuola quando si ha poca voglia di studiare e tanta voglia di divertirsi. Poco male, un rimbrotto dei genitori, qualche discorso paternale dal professore di turno e passa tutto. Più raro (forse) e difficile da digerire (sicuramente) è quando lo zero arriva nella vita professionale, soprattutto quando non si è di “primo pelo” ma si è nel mondo del lavoro da 12 anni.
Passiamo la maggior parte della nostra vita in ufficio, l’azienda diventa (almeno per chi crede fermamente in quello che fa come il sottoscritto) un po’ come una seconda famiglia: ti impegni al massimo per farla star bene, dai tutto te stesso per non creare problemi alle persone che ne fanno parte, cerchi di fare al meglio ogni cosa perchè sai che, alla lunga, è il lavoro serio e corretto a pagare. E allora non stai solo 8 ore in ufficio, perchè non sono mai abbastanza… le 10 ore diventano la norma, spesso ne fai anche di più… ma che problema c’è, dopotutto siamo tutti sulla stessa barca, tiriamo tutti dalla stessa parte…e poi tutto il mio impegno è apprezzato, di sicuro...
Poi succede qualcosa che non riesci a spiegare. Ti arriva uno zero. E per giunta ti arriva senza che tu riesca a comprenderlo. Le spiegazioni che ti danno non riescono nemmeno un po’ a farti stare meglio ma, anzi, aumentano ancora di più la delusione. E allora la domanda “Chi me lo fa fare?” è una delle prime che ti fai.
E non è facile dare una risposta, proprio no.
Poi ci pensi meglio… e decidi di partire da un altro punto di vista: “Se mando tutto a quel paese, se lascio tutto o anche se soltanto inizio a passare 8 inutili ore in ufficio come fanno tanti… chi rendo felice?”
La mia famiglia? Sicuramente no. Tutti in famiglia sanno benissimo quanto ci tengo al lavoro che faccio, se iniziassi a viverlo come un impiegato statale sarebbero le persone più tristi della terra.
I miei colleghi? Figuriamoci. Forse per alcuni (pochi) sarebbe una vittoria morale vedermi mollare…ma che mi frega di quelli là… quelli a cui tengo veramente, quelli per i quali passo 10/12 ore al giorno in ufficio no…loro ne subirebbero le maggiori conseguenze…ed io ci starei malissimo.
Me stesso? Nemmeno. Non mi ci vedo proprio a fare l’impiegatino che va in ufficio sbuffando di continuo aspettando che passino le 8 ore… io lavoro anche per la mia soddisfazione personale. Credo in quello che faccio, far funzionare le cose mi dà grande soddisfazione, perchè dovrei mollare? Perchè dovrei comportarmi come quelli che contano i giorni che gli mancano alla pensione?
E allora no signori, non mollo. Vado avanti. Tale e quale a prima, se non con addirittura maggiore impegno. E non per dimostrarlo a chi non capisce e probabilmente non capirà mai, ma per dimostrare a me stesso che nemmeno una delusione di questo tipo ferma la mia voglia di andare avanti.
Il lavoro e l’applicazione continui sono il cibo del mio spirito.
Quando comincerò a cercare il riposo, allora smetterò di vivere.
F. Petrarca